Tedeschi e cinesi stiano attenti a considerare marginale o poco dinamica l’Italia: adesso che taxì e farmacie saranno liberalizzate e che non ci saranno più di fatto contratti a tempo indeterminato, dovranno cominciare a considerare seriamente la nostra impetuosa crescita. Si vabbè  fra le nazioni povere, ma sempre crescita è. Anzi sono convinto che ci siano già capitali accumulati per assorbire quel poco che rimane. Mica chiacchiere.

Certo c’è quell’ostinazione dei mercati a non dar credito alle ricette dei luminari al nostro capezzale: gli spread salgono, i capitali prendono altre strade, non passa giorno che una qualche azienda di prestigio non venga acquisita a causa dei pochi investimenti fatti. Compresa la Fiat che si è svenata per comprare la Chrysler e che alla fine diventerà una succursale della peggiore casa costruttrice americana, abbandonando l’Italia. Ma con la liberalizzazione degli orari dei negozi si sprigioneranno energie insospettate. Oddio c’è il fatto che gli orari più liberi d’Europa li abbia il Portogallo che e allo stremo e i più rigidi la Germania: ma la realtà, i dati fattuali sono troppo volgari per i nostri saggisti d’accademia.

Ed è anche volgare e improponibile la volontà popolare, quella di noi non tecnici che ci siamo fatti infinocchiare sul nucleare e sull’acqua pubblica e che non abbiamo ascoltato la materna voce della Banca mondiale che ha concluso un’alleanza di ferro con i padroni dell’acqua. Certo la stessa banca mondiale, dopo aver ricattato molte nazioni del terzo mondo imponendo privatizzazioni idriche in cambio di aiuti, in un documento del 2005 ammette che non c’è differenza di efficienza e costi (ma non di profitti)  tra pubblico e privato. Forse Gianfranco Polillo, travet di lusso, ex capo del servizio bilancio della Camera e responsabile economico della Presidenza del Consiglio, con i brillanti risultati che sappiamo e oggi sottosegretario all’economia, forse queste cose dovrebbe saperle e dovrebbero fare entrare un dubbio nella sua testa, ammesso che ci stia. Ma lui è sicuro:  “Il referendum sull’acqua – ha detto – è stato un mezzo imbroglio. Abbiamo esercitato un voto nei confronti delle municipalizzate, non era su l’acqua ma riguardava tutta una serie liberalizzazioni di queste aziende. Sia chiaro l’acqua è e rimane un bene pubblico, è il servizio di distribuzione che va liberalizzato”.

Ora come spiegare al povero Polillo che la gestione in sistemi complessi è di fatto il possesso? Non si è riuscito a spiegarlo ai piddini che avevano gli occhi già a forma di euro quando si sono accorti che la popolazione era fortemente contraria, figurarsi a lui che è un coatto dalll’inquiteante linguaggio: se po’ fa, se vedemo, aoh e che so stupido?

Eh bè chissà qual potrebbe essere la risposta. La risposta sicura però è che non è un ingegnere idraulico, né un esperto di sistemi, quindi formalmente è un profano come tutti a cui brillano però gli occhi quando sente parlare di banca mondiale: aoh che ce sarebbe…. E certamente di democrazia ne capisce come una lumaca in chiesa. Sicuro che non mi farò alzare la bolletta perché lo dice Polillo, nè i milioni di persone che credono nell’esistenza concreta e non teorica dei beni pubblici, possono accettare i vaniloqui interessati di questo personaggio, in attesa che poi qualche altro Polillo faccia lo stesso discorso sul nucleare come accadrà certamente più prima che poi. Aho Polì , ce voi marcià, ma sai che tte dico? Ma questo glielo sussurro all’orecchio.

Certo è preoccupante che dal governo tecnico emergano con sempre maggior frequenza queste voci, affidate via via a persone più in alto nella scala gerarchica: non solo denuncia il sempre maggiore scollamento fra tecnici veri o presunti in nome di oggettività e necessità opache anche se sbandierate come ragion d’essere dell’attuale potere, ma portano alla volontà di sovrapporsi alla volontà popolare in nome di un ideologismo fumoso e vorace quanto gli interessi concreti in gioco. I beni privati e dunque fonte di profitto sono l’unico orizzonte di queste persone per le quali i beni comuni semplicemente non dovrebbero esistere e che sono pronti a mettere in campo la più squallida demagogia di una competenza che non ha nulla a che vedere con le scelte di fondo di una società. Bisogna dunque stare in guardia prima di essere defraudati da ciò che rimane della democrazia. E vendere cara la pelle, se proprio tutto dev’essere un mercato.