Anna Lombroso per il Simplicissimus

Qualcosa unisce in forma sorprendentemente bipartisan i severi e algidi esponenti del governo e l’esigua opposizione, quella meno ribalda ma più baldanzosamente passionale. Così dopo le maschie lacrime di Di Pietro a vent’anni da Mani Pulite, ecco le altrettanto virili lacrime della guardasigilli. Commentando il pianto del leader dell’Idv riguardo a Tangentopoli, la ministra Severino ha dichiarato che “E’ un tipo di sofferenza che accomuna tutti i politici che stanno facendo del bene e soffrono per le critiche che ricevono. Capita anche a me”.
Sono ingenua e quindi a una veloce lettura mi ero convinta che le dolenti esternazioni della ministra sgorgassero dal senso di inadeguatezza davanti alle piaghe che affliggono il Paese. O di pentimento per scelte inappropriate come gli hotel di pena per criminali di serie A. O di vergogna per dover dichiarare che la lotta alla corruzione è si importante ma non prioritaria come le liberalizzazioni e le semplificazioni. Macchè, non piange nemmeno per la sorte di qualche amico o contiguo non proprio in odore di trasparenza, che più in là, con tutto comodo, forse sarà investito dal promesso inasprimento delle pene per evasori e corruttori.

No, piange per se stessa la ministra, rivendicandone la stizzita frustrazione, quella di chi si sente ingiustamente incompreso pur lavorando per il bene comune, sfidando l’odiosa impopolarità. Resisto volentieri alla tentazione di citare altre emotività di governo fin troppo esplorate, interrogandomi però se non sarà il caso che ambedue le lacrimose estendano la definizione di impopolare non solo a misure che non piacciono al popolo ma anche a misure “contro” il popolo. Dandosi così una motivazione del nostro, per loro incomprensibile e imprevedibile, disappunto.
Ne abbiamo viste di lacrime di governo e di opposizione, di regime e di lotta. Ha pianto Occhetto alla Bolognina, ha pianto Prestigiacomo misconosciuta dal suo boss. E George Bush cantando “God Bless America”, e Lim Boon Heng primo ministro infedele di Singapore. Berlusconi poi, non si contano le volte che si è abbandonato a commozione e pietà le più svariate e ben distribuite tra le torri gemelle, Mike Buongiorno, Saddam, migranti, Eluana, forse anche l’eroe Mangano, chè si sa l’uomo è emotivo.
Perfino l’arcigno Giovenale, omofobo, misoneista e misogino svela una scorbutica gentile comprensione per la debolezza di chi piange: “la natura al genere umano ha dato le lacrime, il più alto bene in noi è l’infinita tenerezza”.

Si le lacrime sono un dono, quale che sia il sentimento che le origina, dolore, rabbia, compassione. Lo sa bene chi non sa piangere e le riceve come un regalo prezioso che lenisce qualcosa di profondamente riposto, sciogliendo quel gomitolo di filo spinato che abbiamo in gola. Kant dice che il primo vagito del neonato è di collera, quando vuole liberarsi della zavorra di quel corpo appena conosciuto e che lo rende impotente a agire. Una piccola collera la sua, di chi si affaccia all’avvenire. Cui crescendo si guarda con speranza, se ancora si sa piangere, perché, dice Derrida, nel pianto c’è un frammento di futuro immaginato e inatteso, innocente e gentile, una richiesta di aiuto per ferite recondite e segrete, una inarticolata consegna agli altri.
Si direbbe proprio che l’accecamento degli occhi velati dalle lacrime permetta di guardare più lontano e più addentro e più profondamente.

Ma si vede che non è così per tutti. Per qualcuno forse sono lo schermo dietro al quale custodire cinismo, egoismo, indifferenza al pianto degli altri, fastidio estraneo e schifiltoso per le sofferenze degli inferiori. Sono quelli che ci hanno promesso con soddisfatta sobrietà sangue e lacrime, ecco, le rivogliamo indietro, togliamo loro il diritto di piangere di passioni che non provano e non vogliono conoscere. Vogliamo piangere come i neonati, di collera, come gli esuli, d’amore per bei posti lontani nei quali ritorneremo, d’amore per i nostri uomini e le nostre donne, di coraggio perché non vogliamo avere paura, d’innocenza come i nostri figli. Ha torto Euripide, le lacrime nuove per vecchi dolori non sono sprecate.