Anna Lombroso per il Simplicissimus

E anche ieri abbiano la nostra sentenza storica, che anche questa volta è stata doverosa, inevitabile, ma dubito indirizzi al meglio la cronaca dell’oggi e del domani.
La Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha condannato l’Italia per i respingimenti verso la Libia. Nel cosiddetto caso Hirsi, che riguardava 24 persone nel 2009, non è stato in particolare rispettato l’articolo 3 della Convenzione sui diritti umani, quello sui trattamenti degradanti e la tortura. La Corte ha inoltre stabilito che l’Italia ha violato il divieto alle espulsioni collettive, oltre al diritto effettivo per le vittime di fare ricorso presso i tribunali italiani. L’Italia è stata condannata a versare un risarcimento di 15mila euro più le spese a 22 delle 24 vittime. La Corte ha ricordato che i diritti dei migranti africani in transito per raggiungere l’Europa sono in Libia sistematicamente violati.
Possiamo dire che siamo venuti meno due volte ai doveri di aiuto imposti dall’appartenenza più o meno usurpata all’umanità: là dove siamo stati complici prima e indifferenti poi e qui dove abbiamo negato asilo e trattato esseri umani peggio che animali, degradati, seviziati, corpi nudi ridotti a materia.

Non mi ripeterò, troppe volte l’ho fatto, sui danni irreversibili che il governo e l’ideologia di una destra xenofoba e razzista ha prodotto. Estraendo e facendo affiorare i peggiori istinti di una nazione che ha accettato due legislazioni razziali a distanza di tanti anni passati invano, in nome della paura, delle diffidenza, dell’egoismo.
Ma c’è da temere che ci sia davvero un germe che ha contaminato il mondo, che non ha a che fare solo col razzismo che si ripresenta più virulento in situazioni di crisi. Non è solo la paura del diverso, che fa irruzione estraneo e ignoto a minacciare piccoli privilegi, già compromessi.

C’è un nuovo cinismo, una doppia “im-morale” ben rappresentati dall’Europa che condanna i respingimenti, che deplora il rifiuto dell’aiuto ai diseredati, ai disperati, agli affamati, agli insidiati dalla fame e dalla violenza. E che al tempo stesso si presta con sfrontato impiego dell’eufemismo alle missioni di guerra spacciate per aiuti umanitari e import-export di democrazia, ricatta un paese disperato imponendogli senza vergogna l’acquisto di armamenti. E che lo condanna, intanto lui poi si vedrà, a patire privazioni di beni, diritti, pane, autodeterminazione, cultura, arte, bellezza, isole, coste, monumenti. Favorendo un ricambio governativo che espropria la democrazia dei suoi capisaldi, i cittadini della loro sovranità, lo Stato della sua autorità.
Si i signori della Corte hanno ragione da vendere a condannarci. La sanzione è un oltraggio in più alla vita e alla morte di chi è stato rifiutato ma è doverosa.
Ma sarebbero più autorevoli se condannassero alla stessa pena un’Europa degli Stati e dei diritti diventata un’Europa dei mercati, che riceve con maestà sussiegosa gli immigrati condannandoli alla stessa galera dei suoi cittadini ormai asserviti alle ragioni di una coalizione prepotente e rapace.

Ne arrivano pochi di immigrati di “clandestini” alle nostre coste. Anche per l’inclemenza e il freddo di paesi che perdendo diritti non vogliono e non sanno garantirli agli altri.
Non mi piace un’Europa dove si è affermata una ideologia incentrata sul profitto, sul primato del denaro immateriale, che non è neppure più la moneta, ma un tremendo gioco d’azzardo, ma che finge che in assenza di esso, incrementando le disuguaglianze, impoverendo i popoli di potere, decisione e beni, non si generino gerarchie infami di dignità, in un nuovo razzismo che discrimina implacabile i più per favorire i pochi.
Tra i tanti beni che abbiamo dissipato c’è anche quello della solidarietà, c’è quello della civiltà, c’è quello dell’umanità. Beni che sarebbero ricambiati, che sono un investimento in democrazia e in sviluppo, in libertà e in conoscenza. Il sale della terra ormai sembra fatto di lacrime.