Da qualche settimana un fantasma si aggira nel fantasmatico Pd e prende sempre più concretezza: l’allarme per l’antipolitica. Un po’ i sondaggi che danno in ascesa i grillini, in procinto di ereditare la Lega, un po’ l’evidente sconcerto dell’elettorato, un po’ i pasticci sempre più evidenti del governo, cominciano a far balenare il sospetto che il partito si stia immolando al montismo. Tanto più che quest’ultimo, grazie all’interessata benevolenza dei media, ha tutto l’interesse a mettere l’accento sugli scandali della politica, piuttosto che sullo scandalo delle “tecniche” messe in atto.

Così c’è un gran fervore di interventi contro la demagogia che si accanisce sui contributi ai partiti, sulle ruberie, sugli stipendi d’oro, sulla corruttela della classe politica e dà anche origine a grotteschi interventi che vorrebbero una non ben specificata  oligarchia andare contro il Pd o a reprimende patetiche e demenziali come quella che bacchetta chi nel partito dice che Monti è di destra. Naturalmente è vero che dalla demagogia non nasce nulla di buono e che anzi, essa è un pericolo sempre più concreto, ma i richiami e le sottolineature rischiano di ottenere l’effetto contrario, se vengono da chi ha rinunciato alla politica, da chi si è tirato indietro lasciando il posto all’ideologia liberista, nascosta sotto le spoglie di una tecnica anodina e “neutra”  che di per sé non esiste.

Si è pensato che le circostanze “drammatiche”, peraltro appositamente preparate fuori dal Paese, potessero di per sé rendere meno grave questa rinuncia a rendersi protagonisti di una rinascita del Paese o fossero in grado di nascondere la mancanza sostanziale di idee alternative, la pervasione del gruppo dirigente da parte del pensiero unico. Forse più banalmente si è pensato di lasciare ad altri l’onere delle stangate, per poi, liberi da questo peso, poter affrontare il governo del Paese.  Ma così non è stato per un semplice fatto che di per sé denuncia la pochezza di un gruppo dirigente: la competenza tecnica, reale o solo supposta, va di pari passo con l’incompetenza sociale.  Quando i sobri signori e le poco accorte signore dell’esecutivo trattano gli italiani come alunni inetti e inesperti, evitando anche le spiegazioni del loro operato o fornendo di ridicole, non fanno altro che dare una dimostrazione di questo atteggiamento, anzi di questa ideologia: la società è incompetente a giudicare del suo futuro e della sua “felicità” di cui solo la finanza e l’economia possono decidere. Se si fosse trattato di fare semplicemente dei conti, sarebbe bastata la ragioneria dello stato, ma qui si trattava di imporre la tecnica finanziaria come unica politica possibile.

E non si può dire che sia stata una sorpresa: la lettera di Draghi e Trichet, dietro suggerimento del governo tedesco e della Bundesbank  che attualmente sono la medesima cosa, non forniva  solo delle cifre, non tanto delle cifre, ma delle ricette politiche a cui l’Italia doveva attenersi. Dal punto di vista dell’economia reale quelle ricette – come tutti gli economisti seri dicono – sono catastroficamente sbagliate. Ma non dal punto di vista della finanza che non ha più nulla a che fare con la vita delle persone se non con quella di chi gestisce il gioco, sono giustissime: esse azzerano l’idea che esistano dei diritti intrinseci che vanno oltre il denaro, preparano il terreno per l’idea, del resto non nuova, che l’ingiustizia sia il vero motore dell’economia , limitandosi a suggerire formule, le più leggere possibili perché l’ingiustizia stessa non dia origine ad un’antitesi in grado di far saltare il tavolo da gioco.

Non è un caso che tutto questo appaia chiarissimo nelle manovre dell’esecutivo tese a colpire regolarmente i più deboli e a distruggere i diritti, facendo balenare in cambio delle pure elemosine.  Il fatto è che non si vuole affatto salvare l’Italia, come si fa finta di credere, ma si vuole salvare la finanza e, nel contesto specifico, l’interesse del centro continentale. Il Paese può andare a remengo, anzi tanto meglio se si crea in Europa un esercito di riserva: l’impoverimento non è un errore, è una strategia. Magari il rifiuto di tutto questo inconsapevolmente si esprime attraverso la demagogia, magari anche attraverso quella più spicciola. Ma oltre quella cosa c’è, cosa vota il Pd che non sia nel senso dell’ingiustizia? Cosa ci dice per evitarla? Che Monti è di sinistra, come vorrebbe quel genio di Franceschini? Questa si che è demagogia, anzi la sua degradazione a farsa, la dimostrazione che anche la politica ha raggiunto il punto di non ritorno: l’incompetenza sociale.