Licia Satirico per il Simplicissimus
È un bollettino di guerra. Una guerra insidiosa in cui il nemico, l’aguzzino, l’assassino è chi ti dorme accanto, chi ti ha giurato amore, tenerezza, protezione: 101 vittime nel 2006, 107 nel 2007, 112 nel 2008, 119 nel 2009, 120 nel 2010, 137 nel 2011 e già 54 nei primi quattro mesi del 2012. Tante sono le donne ammazzate da mariti o ex mariti, conviventi o ex conviventi, o da innamorati respinti pronti a trasformarsi in feroci eliminatori della cosa non possedibile. Il settanta per cento delle donne uccise era di nazionalità italiana, come il settantasei per cento degli assassini.
La guerra sorda tra i sessi, che non è solo un problema italiano, suscita giuste ondate collettive di indignazione condivisa. Ne nascono appelli, manifestazioni, discussioni su quotidiani e social network. Si dice che è un problema politico, che manca una normativa adeguata, che nessuno può più tacere su una tragedia che si consuma troppo facilmente sotto gli occhi di tutti, che talora guadagna le attenzioni morbose dei media o ancora più spesso pochi trafiletti distratti. “Se non ora quando” e Roberto Saviano rilanciano in queste ore il problema della mattanza delle donne, parlando di “femminicidio” come di un genocidio muliebre commesso all’infinito da chi si sente ancora investito del potere di vita o di morte sulle sue pertinenze familiari. Un delitto già oggi, peraltro, punito senza alcun effetto deterrente con pene molto severe, dopo l’abolizione nel 1981 della raggelante causa d’onore come circostanza attenuante: l’uxoricidio, l’assassinio dei familiari, l’annientamento per crudeltà o per motivi abietti sono tutte ipotesi di omicidio aggravato.
A me la parola “femminicidio” va giù come le cartilagini di un rospo: finisce con l’evocare una sorta di omicidio minore, di genere, inquadrato in una letteratura criminologica che dipinge l’assassino come una persona emotivamente instabile e la vittima come la complice involontaria del suo carnefice. Come se non ci fossero enormi responsabilità sociali e culturali nell’esplosione incontrollabile della violenza sulle donne. Come se in Italia non si esponesse la donna a una straordinaria vulnerabilità sul piano del lavoro, dei servizi di assistenza alla maternità, della protezione della famiglia e dalla famiglia. Siamo uno dei pochi Paesi europei in cui manchi una legge sulla trasmissione ai figli del cognome materno, il cui welfare annichilito dai tagli non preveda aiuti sistematici per le giovani madri, ancora esposte al rischio delle dimissioni in bianco: il disegno di legge sulla riforma del mercato del lavoro prevede finora solo una multa non particolarmente salata per il datore di lavoro che imponga dimissioni “preventive” alla lavoratrice, nonostante gli accoramenti dichiarati di Elsa Fornero.
L’immagine mediatica della donna non conosce mezze misure: “esibizionista per natura”, secondo le opinioni dell’ex premier, la figura femminile si colloca tra l’ancella ornamentale e la stimata professionista che sia anche madre e nonna. Perfino le fiction televisive oscillano tra santa Maria Goretti e le escort del terzo millennio, in un’eloquente carrellata scalare di stereotipi il cui peso uccide: la santa, la madre, la moglie, l’innamorata, la donna in carriera, la traviata emendabile, la rovinafamiglie.
Il femminicidio è un omicidio brutale, tragico, che si alimenta dei mille tasselli che rendono la donna più debole, meno autonoma, meno coraggiosa. Qualcuno tenta di leggerlo alla luce della dissoluzione della famiglia tradizionale, finendo ancora una volta col colpevolizzare l’angelo ribelle del focolare domestico.
La Medea moderna, in cui la passione diventa più forte della ragione, è un uomo. Assume le vesti del compagno respinto, del marito vendicativo e a volte del padre indegno. Non sempre uccide: i bollettini di guerra riportano il bilancio dei morti, non dei sopravvissuti. C’è chi cancella le vite degli altri con un tratto di penna o con gli avvocati, preferendo la morte bianca da carta bollata. C’è chi si rifugia dietro la viltà dello stupro e chi annienta la dignità delle donne offendendole, molestandole per strada o sul luogo di lavoro, forte della mancata condanna sociale del suo comportamento.
La guerra si combatte cambiando cultura, potenziando le tutele, alzando la guardia. Nel caso di noi donne, si combatte anche imparando a volerci più bene.
Non scomoderei Lombroso,( che mi fa accapponare la pelle solo nominarlo) credo piuttosto che sia un problema di educazione, e non solo di corretta educazione di genere, ma di buona crescita del sé, di sviluppo equilibrato della persona, per superare, almeno in età adulta, l’egocentrismo e l’onnipotenza che caratterizzano spesso i comportamenti maschili.
Cesare lombroso ha fondato l’ antropologia criminale in italia . La sua teoria sulla fisiognomica delinquenziale oggidì non può essere accettata , la scienza ed i suoi paradigmi evolvono e l’ interpretazione data alla genesi dell’ uomo criminale trova spiegazioni di carattere culturale sviluppantisi in contesti sociali deboli. in cui la risposta e l’ interazione tra le persone è caratterizzata da intrinseca violenza. La scienza ha tentato di spiegare l’ aggressività antisociale , ampiamente intesa, correlandola ad un corredo genetico maschile dato da XYY , super maschio in cui il cromosoma maschile Y sovrannumerario sarebbe responsabile di azioni criminali le più feroci. Si è visto che la statistica in tal senso eè debole. Tuttavia di fronte ad efferati delitti spesso scaturiti per futili motivi di cui le donne sono sostanzialmente le sole vittime mi vien da pensare che l’ uomo in questione , perchè è sempre lui che uccide non sia parte di questa nostra società ma che si ponga ad uno stadio di evoluzione arrestatasi prima dell’ uomo di cro-magnon. Lombroso non può aver ragione , ma non ha poi così torto
Comne è strana la seguente sintassi italiana: si usa dire “ti voglio bene” e mi sembra giusto che l’ so del complemento di termine “ti”. Ma si dice anche “ti amo ” dove il “ti” ha qui la chiuara funzione di complemento oggetto. Impropria sintassi nel secondo caso dove il termine amore ha esatamente una valenza supoeriore al dire ” ti voglio bene” Ed allora cominciamo a dire ” Io amo a te” pareggiando almeno la partita con la prima fras. Forse qualcuno si soffermerà su quel A TE inducendolo ad una piccola rivoluzione sintattica ma a ben più paritetico pensiero nei confronti del soggetto d’ amore. Sarà poco ma qualcosa forse servirà. Io voglio a te, piango a te, io amo a te, io vivo a te.
Centinaia di vittime sacrificate in nome di un concetto di bieco maschilismo di possesso da cui il maschio non nsi è mai liberato sin dai primordi del genere umano. Da millenni il cromosoma Y etichettato a suo tempo, forse non sbagliando di tanto da genetisti criminologi come il depositario dell’ aggressività maschile, continua sotto altre spoglie a fornirsi all’ omicida come suo efferato e funereo strumento di morte. Diceva un famoso sociobiologo a commento delle tristi azioni compiute a suo tempo ed anche oggi dall’ uomo cosiddetto moderno: cosa volete pretendere da una umanità giovane di appena 30000 anni quale è appunto l’ uomo moderno di Cro- magnon? Noi pretendiamo che la cultura dominante si faccia carico del drammatico problema colpendo inesorabilmente i resposabili di questi belluini gesti attraverso guisti processi e pene commisurate all” azione prodotta senza indulgere a facili attenuanti ngeneriche come ad esempio l’ ninfanzia difficile ed altre stupidate del genere che offrendono ukteriormente la vittima e i di lei parenti e la società tutta . La smettano i giudici di rispondere : noi ci limitiamo ad applicare il codice , nascondendosi dietro un velo trasparente; e se c’è qualcosa da cambiare , si abbia il coraggio di ricorrere a leggi più severe. Sono un padre di tre figli di cui una ragazza ventenne che continuerà ad alzare la sua voce contro questi orrendi delitti, chiamiamoli femminicidi, donniicidi che rimangon, grazie alla cretineria di tanti magistrati sostanzialmente depenalizzati: Basta seguire qualche puntata di AMORE CREIMINALE su RAI TRE per rendersene pienamente conto.