Anna Lombroso per il Simplicissimus

Io candidato? È una bufala.

Certo che Saviano è ossessionato dalle bufale, dopo l’elogio della mozzarella collocata tra i beni più preziosi e irrinunciabili, vi ricorre anche stavolta per smentire confermando, per rinnegare avvalorando, nel più collaudato “politichese” d’antan: Ovviamente è un falso, dice:  (…) Il mio mestiere e’ quello di scrivere, ma non rinuncio alla possibilita’ di costruire un nuovo percorso in questo paese. (…) Ridare dignita’ alle parole della politica e’ invece la premessa alla rinascita. Ripartire dalle parole significa costruire prassi diverse. Perche’ le parole sono azione.  

Pare uno spot della trasmissione della Sette, a sua volta un  trailer  – magari a loro insaputa – della fuffa volonterosa e vanesia dell’antipolitica di chi a un imprenditore padrone ne vorrebbe sostituire un altro, meno maleducato e ridicolo ma altrettanto pericoloso, e  rimpiazzare dei tecnici antipaticamente spocchiosi e furiosamente pasticcioni, con degli specialisti dell’onestà, magari altrettanto incompetenti anche se più graditi.

Bastasse un ceto dirigente che non ruba saremmo al sicuro, bastasse una classe politica di austeri saremmo usciti dalla crisi, bastassero appalti trasparenti non avremmo il problema di inutili opere faraoniche, bastasse mettere una o più donne al governo garantiremmo la doverosa attenzione ai segmenti di cittadini più vulnerabili e esposti – e  non sarebbe stata votata ieri al Senato nel giubilo di tutti quell’infame edificio di nequizie impropriamente e oltraggiosamente chiamato riforma del lavoro. Bastasse l’ autore di un fortunato e lodevole libro denuncia sulla camorra per garantire la legalità, vivremmo in un paese libero e felice.

E bastasse un partito di leader pericolanti, di disillusi non del tutto arresi, di giornalisti pimpanti malgrado certi eloquenti insuccessi, di professionisti della critica e della critica alla critica, di bocconiani riflessivi e di liberisti pensosi, di testimoni del territorio in perenne ammirazione del susseguirsi di tutti i fenomeni presenti nel circo mediatico, a rifar su il centro sinistra, allora, che dietro ci fosse il partito di repubblica o quello della Fiat potremmo forse persuaderci di uscire dalla crisi, che è economica, ma soprattutto creativa, morale, sociale.

E che è soprattutto una crisi della democrazia. Che non è ferita, non è vilipesa, non è minacciata. Ormai è proprio morta ammazzata non solo dal  totale annientamento della sovranità del popolo e dello Stato, sancito dal pareggio in bilancio in costituzione. Ma soprattutto democrazia dalla delegittimazione dei partiti e dell´intera sfera politica. Certo il  detonatore sono  la vergognosa caduta della Lega nel familismo amorale in salsa padana, o la famiglia allargata della Margherita, o le spensierate vacanze del governatore che ha dato fuoco alla polveriera, quella della corruzione che si intreccia con la  controversa materia del finanziamento pubblico dei partiti. Che di questo in verità si tratta, dell’imbroglio sfrontato che sotto le mentite spoglie del rimborso delle spese elettorali – un travestimento reso necessario dall´esigenza di annichilire la volontà espressa dal popolo sovrano in un referendum –   ha portato nelle casse dei partiti, in diciotto anni, 2,3 miliardi di euro. L´effetto dirompente e delegittimante di queste prassi dovrebbe essere percepito da tutti, soprattutto dai politici. Nessuno escluso. Perché sarà anche vero che non tutti i partiti hanno distratto il pubblico denaro per le private finalità di qualche dirigente; sarà anche vero che la trasparenza dei bilanci è diversa (su base volontaria) da partito a partito; sarà anche  vero che alcuni partiti cercano fonti di finanziamento   nelle contribuzioni volontarie di militanti e di simpatizzanti … Ma è  vero che tutti i partiti hanno percepito quel pubblico denaro in quantità smodata. E che  tutti i partiti definiscono “antipolitica” quello che  è invece legittimo sdegno dei cittadini davanti all´evidenza che i sacrifici, in questo Paese, si fanno a senso unico. È vero che il sistema politico largheggia verso se stesso,   mentre è severo   fino alla spietatezza  con i cittadini. E’ vero che questo sistema politico è non solo costoso e inquinato ma anche inefficiente e incompetente: ne ha dato  prova nel subire la crisi, senza nemmeno ammetterla, nel consegnarsi   a un gruppo di sedicenti tecnici delegando loro misure impopolari quanto dubbiose per salvare l’Italia dal baratro in cui l’aveva condotta la cattiva politica, il sistema di corruzione, l’incapacità e l’inazione, insieme alle oscure collusioni con poteri economici rapaci.

Ma per convertire l’antipolitica nell’altra politica, quella che ci serve, non basta la banda degli onesti. Per quello – fatto salvo qualche bel conflitto di interessi, negato con sussiegosa arroganza, qualche bel familismo, spacciato per virtù domestica, qualche conteggio sbagliato, eh mica si può badare a tutto, qualche sconcertante omissione nella dichiarazione dei redditi, ma non vorrete mica che con tutto il daffare che hanno possano occuparsi di queste piccolezze – si, per quello potremmo accontentarci dell’onestà dei ragionieri, che è probabile non facciano la cresta. Ma l’onestà in politica dovrebbe essere un’altra cosa: dovrebbe essere tutela dell’interesse generale che deve sempre avere il sopravvento su quello privato; dovrebbe essere scrupoloso rispetto dei diritti di tutti; dovrebbe essere apertura e inclusione dei cittadini e dei loro rappresentanti nei processi decisionali; dovrebbe essere salvaguardia della sovranità dello Stato e delle sue istituzioni; dovrebbe essere amore e doverosa attenzione nei confronti delle generazioni future, per assicurare loro almeno quanto hanno avuto quelle passate, senza scatenare conflitti e alimentare guerre tra le generazioni. E dovrebbe significare anche passione, passione per la democrazia e la libertà che possono essere nutrite solo con l’equità, con il superamento delle più mostruose disuguaglianze, con una efficiente gestione dei servizi sociali, con politiche del lavoro e dello sviluppo che restituiscano forza e credibilità all’attesa del domani.

Onestà dovrebbe significare guardare alla possibilità di costruire una alternativa all’ideologia e alla pratica oscena e avida del profitto, al primato del mercato, alla corsa senza limiti a una crescita ossessiva e suicida ai consumi di risorse, di ambiente e di territorio, alla riduzione in merce del lavoro, dei lavoratori, delle loro vite, della bellezza, della cultura, del sapere. Il partito dell’alternativa e della felicità sembra impossibile, ma non è chiedere troppo.