Anna Lombroso per il Simplicissimus

«Il governo cade sul ddl anti-corruzione? Lo spieghino agli elettori». Il ministro dell’Istruzione e Università Francesco Profumo gliele canta: «Non abbiamo alcun timore ma non sarebbe un bel segnale che il governo andasse a casa su un tema come l’anticorruzione: poi bisognerebbe spiegarlo agli elettori futuri».
Ai ministri del governo Monti si addicono le lezioni morali: la stessa fermezza granitica l’aveva ostentata la ministra Severino quella del decreto salva Iannini, la prestigiatrice che ha messo tutti d’accordo, si, ma sulla concussione, quella della legge ad personam, in questo caso ad Ruby, quella che è così indaffarata negli affari pubblici che trascura quelli personali e dimentica nella denuncia una villa da 10 milioni. E sempre Profumo: «Non voglio fare alcuna riforma dell’Università”, eh per carità ci eravamo preoccupati, no no vuole solo “oliare e far funzionare meglio per via amministrativa l’attuale riforma, quella della Gelmini. E come? “ in universitá i bandi di concorso saranno più chiari e semplici, in italiano e in inglese, con maggiore apertura, in modo che possano partecipare anche persone che sono fuori dal circuito universitario attuale. Vogliamo rompere le incrostazioni». E per rompere le incrostazioni il presidente del consiglio orfano dei poteri forti , spezza il cerchio magico della lottizzazione seriale dei partiti in Rai , inaugurando quella della sua cerchia magica quella dei suoi famigli, affini, amici.

Un volta i professori stavano appartati , come Sraffa, che malgrado l’apertura all’inglese, qui da noi non farebbe carriera. Perché adesso invece sono sempre più esuberanti e ogni giorno ci ammaestrano con la loro sgargiante pedagogia, trattandoci tutti, partiti, istituzioni e cittadini, come riottosi bambinacci da minacciare di busse, da ricattare e impaurire con reprimende e con il castigo di sempre nuove privazioni, da ridurre a una umiliante infantilizzazione, anticamera di una più utile e proficua schiavizzazione. A quello serve la flessibilità, tanto che la estendono anche alle regole morali e deontologiche, chè in fondo le regole per il succedersi dei nostri governi sembrano essere fatte per essere infrante o eluse o aggirate o “oliate” o considerate inutili attrezzi che paralizzano una esuberante crescita, penalizzano imprenditori creativi, frustrano attempati dongiovanni, dissuadono investimenti esteri, insomma creano elementi di disturbo provinciale e misoneista nell’esprimersi delle magnifiche sorti e progressive della globalizzazione.

E dire che esiste una corruzione più pericolosa endemica e diffusa della circolazione di mazzette, dello scambio di favori sessuali, si consuma in teatri meno allegorici delle gare d’appalto per le grandi opere – a proposito Pisapia rimette l’incarico di commissario dell’Expo – si rigenera continuamente con attori vecchi e nuovi, immateriale come la finanza , chiamatelo se volete turbo-corruzione. È quella del traffico di influenza, sul quale il ddl non interviene pudicamente, quella che si intreccia velenosamente con il clientelismo e il familismo, sostituendo al merito e la talento, l’affiliazione e la fidelizzazione, quella che impiega la paura e lo stato di necessità per limitare lo stato di diritto e i nostri diritti. Quella che interpreta il conflitto di interesse come una fastidiosa invenzione retorica degli sfigati che invidiano chi ha saputo realizzare le proprie ambizioni. Quella che propone come successi le peraltro sacrosante crociate degli scontrini, quando i grandi evasori felici e sconosciuti si riparano nei loro paradisi, dietro agli scudi, protetti e favoriti.

Ha intriso tutto e innervato malignamente la società, corruttori e concussi, politici e cittadini, carnefici e vittime acquiescenti in una bolla che sembra non esplodere mai, gonfia della tolleranza sottomessa e rassegnata dei molti e della tenace e empia sopraffazione dei pochi, la cui narrazione realistica parla di tempi poco maturi, strumenti poco efficaci, procedure troppo onerose. Mentre invece si tratta della vecchia e consolidata complicità castale, e come chiamarla se non appunto corruzione?

Ai professori piace l’Europa, ma non adottano le convenzioni in materia, si addice loro la globalizzazione, ma solo quella del profitto, non quella della legalità e infatti sembrano riluttanti a superare la disomogeneità tra i sistemi giuridici dei vari paesi nella definizione e punibilità dei reati economici e tributari.
Fin dagli anni Sessanta si è parlato molto di stati forti e stati deboli, a seconda delle differenti capacità nello svolgere le proprie funzioni fondamentali. E da noi molto si è parlato di un settore pubblico invadente e ingerente. Oggi pensando alla notizia che sulla cessione ai privati di una quota dell’Acea in consiglio comunale a Roma si è venuti alle mani, nell’indifferenza della cittadinanza che sta per essere non solo defraudata, ma anche irrisa nell’espressione della sua volontà, verrebbe da parlare di stato assente, di un guscio vuoto, un simulacro, un potere di facciata. Tenuto su non da un edificio di diritti, leggi, istituzioni e garanzie ma da una corazza impenetrabile per noi e le nostre istanze, depredato delle facoltà di dirigere la politica economica e quindi lo sviluppo del Paese.

È che dopo aver esaltato i bisogni concreti, dopo averli a poco a poco ridotti al silenzio, come fossero colpevoli, ci vogliono togliere anche quelli spirituali, come fossero un pericolo. E devono esserlo un pericolo, ma per loro: facciamo quello che possiamo e dove possiamo, come scrisse Calamandrei, tanto per far sapere a noi stessi che ce n’è almeno uno (o tanti) che non vuole essere complice.