Macchina italiana, pilota spagnolo, vittoria in Germania. E’ bastato questo per scatenare un provincialismo terzomondista che ha visto nel successo della Ferrari una sorta di vendetta contro lo spread.  Ma ancora una volta – anche concedendo le attenuanti della depressione – la sostanza e l’obiettivo sono  sbagliati:  la vittoria ad Hockenheim (luogo di  rifugio, in tedesco) dimostra tutt’altra cosa, che l’Italia avrebbe tutte le capacità di stare alla pari con chiunque, ma è in mano a una classe dirigente fallimentare. Politici senza politica, capitalisti senza capitale, professori senza scienza, manager senza testa, media senza dignità. E in mano alle proprie paure e ai propri vizi che non le consentono di cambiare.

Da vent’anni si vive alla giornata senza riuscire a immaginare un’idea di Paese: nulla è stato fatto, quando si poteva, a partire dal lontano ’92,  per affrontare i problemi posti dall’Euro, nulla si è concepito per non arretrare di fronte alla globalizzazione e niente alla fine è stato fatto per difendere il Paese dalle storture della moneta unica e dall’assalto dei banchieri: anzi li si è chiamati al governo. Società liberale, riforme, merito, produttività sono state le frasi fatte che hanno tenuto bordone a un immobilismo capace di scuotersi solo quando si doveva precarizzare la società per recuperare quai margini di competitività non più realizzabili attraverso le manovre monetarie. All’investimento si è preferito l’azzardo finanziario, al buon governo la corruzione, all’efficienza lo spreco, al merito l’appartenenza a clan, famiglie, apparati di potere, a una scuola decente imitazioni modelli ormai in crisi e tagli in favore delle avidità pretesche.  Non c’è da stupirsi se la scena sia stata dominata per tanti anni da uno squalo affarista senza altra idea che mantenere il suo impero economico e da una politica altra così svuotata di idee da non saper nemmeno rimediare alle storture più evidenti, anzi aggiungendone di proprie.

Liberismo e riforme (leggi impoverimento): sembra incredibile, ma il disco rotto continua a suonare, nonostante l’evidente fallimento culminato nella presa in giro di una classe politica che ha chiamato a salvamento proprio il garante della finanza sociopatica e il tecnico che dagli anni ’80 aveva “consigliato” le strade migliori per far salire il debito pubblico. Un pescecane anche lui : sosteneva la necessità del debito come fattore di riduzione di diritti, libertà e welfare. Cosa che ha attuato appena ha potuto, con il risultato che è sotto gli occhi di tutti.  Abbiamo una passione sfegatata per l’ottusità e per gli statisti da opera buffa.

Altro che vittoria contro lo spread: semmai  la vittoria dovrebbe essere contro chi in un modo o nell’altro ci ha messo in questa condizione, compresi noi stessi che abbiamo barattato libertà con licenza, diritti con favori, miraggi con realtà. E spesso etica con vantaggi, tutte cose che il ventennale regime prometteva  e promette di mantenere. Promette perché mica ne siamo fuori: alla volgarità puttaniera, abbiamo sostituito la volgarità sociale, alle barzellette le frasi robotiche, alle smentite, il labirinto di contraddizioni, alla vanteria sessuale, quella tecnica. Ma ci manca il passaggio dalla stupidità all’intelligenza.