Parlano di crescita. Ma niente è più lontano dalle loro intenzioni, dalla loro capacità e dalla camera a gas finanziaria in cui hanno chiuso il paese. Il futuro è svenduto per evitare il crollo del presente, soprattutto la perdita di potere e di rendite che ne deriverebbe. I tecnici che tali non sono mai stati, ormai sono aggrappati alle loro poltrone e sono pronti a sacrificare ogni cosa pur di rimanerci incollati. Tutto questo balugina in qualsiasi mossa del governo, ma si illumina come il faro di Alessandria quando si guarda a Passera e al suo scomposto attivismo nella speranza di apparire come futuro leader politico. Si, chiaro come il sole, con dentro il narcisismo del personaggio e una superficialità a prova di bomba che spesso travalica nel grottesco.

E’ il caso della politica energetica in cui esplode il fiato cortissimo del ministro dello sviluppo e la sua incapacità di guardare oltre il proprio naso. Così mentre la strapassera del centrismo ha ridimensionato gli incentivi alle rinnovabili “perché gli obiettivi erano stati raggiunti”, come se non fosse possibile darsene di altri e più ambiziosi in un campo che è poi quello del futuro e dove si potrebbe e dovrebbe fare tantissimo, ecco che il prode Corrado intende rilanciare la politica petrolifera perché -dice- «non tutti sanno che l’Italia ha ingenti riserve di gas e petrolio».

Naturalmente nessuno gli ha posto la domanda: quanto ingenti? Perché le riserve italiane sono ormai per la gran parte sotto il mare e con l’aumento di prospezioni e trivellazioni si rischia di compromettere gli eco sistemi marini e il turismo dando  il via,  oltre ai 19 permessi di ricerca petrolifera già rilasciati su  10.266 chilometri quadrati di mare italiano, ad altri 41 in attesa su   17.644 chilometri quadrati, un area complessiva, tutta vicino costa,  superiore a quella della Sicilia. Favignana, Marsala, Pantelleria, Canale di Sicilia alcuni nomi celebri di prossime vittime. Oltretutto, come si può facilmente immaginare, saranno le compagnie straniere a prendersi una bella fetta. Ne vale la pena? No di certo: le nostre riserve globali ammontano – secondo le stime più accurate -a un totale complessivo abbastanza modesto di 187 milioni di tonnellate di petrolio,  praticamente il fabbisogno del Paese per due anni e mezzo.

Quindi Passera potrà anche vendere migliaia di nuovi posti di lavoro (nel migliore dei mondi possibili inferiori della metà comunque a quelli delle rinnovabili) e chissà quali occasioni per il futuro, ripetendo le balle dei famosi 100 miliardi per lo sviluppo che avrebbero dovuto essere innescati da tre miliardini in croce che nemmeno c’erano, ma la verità – al lordo di tutte le cecità e le opacità sempre possibili in queste operazioni – è che si rischia di infliggere un danno enorme all’ambiente e alle attività ad esso collegate,  al solo fine di risparmiare, a regime, circa 6 miliardi sulle importazioni con un conseguente aumento del Pil di mezzo punto. Ma solo per qualche anno, una decina, dopodiché festa finita. Insomma per una pura questione di bilancio,  prosciugato dagli impegni europei presi così avventatamente da questi svenditori. Insomma niente più che un tampone contabile imbevuto di petrolio destinato a dar fondo a riserve che tra venti o trent’anni potrebbero diventare davvero strategiche, al solo scopo di non ammettere il fallimento di ricette assurde e del dilettantismo con cui si è tentato di realizzarle.

Vecchie tecnologie in gran parte nemmeno nostre, per raschiare il fondo del barile, contro una serie di ottime occasioni di sviluppo e di innovazione che vanno molto al di là della potenza realizzata, pur notevole. Ecco cosa significa la crescita per Passera e il governo.