Anna Lombroso per il Simplicissimus

Ditemi che sono politicamente scorretta, ditemi che sono influenzata dal prozio ma l’idea di ordine che alberga nella testa della Cancellieri mi rammenta quella che ispirava le grasse governanti, niente affatto bonarie se non nella stazza, sovrintendenti di comunità, conventi, collegi e anche penitenziari, con l’anello delle chiavi appeso alla cinta, più inclini a reprimere che a prevenire, sempre a contar biancheria negli armadi e comminare punizioni esemplari.
E infatti ubbidisce a una ideologia che con autorità e violenza.- in questo caso più istituzionale che mai – annienta la persona umana, la riduce a numero, ne spegne gli impulsi legittimi, penalizza diversità e disubbidienza, colpevoli di creare “caos” e trasgredire a discipline imposte da poteri forti, ma vulnerabili al dissenso, alla critica, alla libertà.

E infatti in una intervista fresca di giornata al primo posto nella lista delle priorità da affrontare mette le manifestazioni di piazza: “Quello che è accaduto con i lavoratori dell’Alcoa è intollerabile. dobbiamo stare attenti che Roma non diventi un palcoscenico esclusivo per tutte le pur legittime manifestazioni». E ancora: “Posso assicurare che il governo farà tutto quanto è in suo potere per aiutare chi è in crisi. Ma bisogna rendersi conto che stiamo vivendo un momento gravissimo e non si può pretendere che lo Stato intervenga nel libero mercato e si faccia carico di salvare le aziende in difficoltà economiche”. Anche lei come il Presidente del Consiglio richiama a una innaturale unità di intenti: «Io voglio lanciare un appello forte ai sindacati, ma anche agli imprenditori e alla società civile affinché si rendano conto della fase difficile che stiamo attraversando. Ognuno deve fare la propria parte e assumersi le proprie responsabilità per smorzare i focolai di tensione”.
Eh si, se poi gli intemperanti non assecondano questo disegno generale e moralmente elevato al servizio di quella modernità che ci permetterebbe di aspirare alla mensa dei grandi e di riceverne qualche briciola, allora bisognerà provvedere con limitazioni della libertà d’espressione, della libertà di manifestazione, della libertà di pensiero, per tutelare invece la libertà di esibire ai potenti in gita, agli investitori internazionali e anche alla spocchiosa e schizzinosa classe di governo, l’ordine che regna nella sua “bbbella Roma”, inviolata dagli eccessi e dalle sregolatezze degli straccioni.

Non solo i commercianti di via Condotti si lagnano se passano quelli dell’Alcoa. Anche altri straccioni altre vittime altri precari altri minacciati sono penalizzati da deviazioni di traffico, esuberante e muscolare presenza intimidatoria di forze di polizia in assetto di guerra, insomma da reali limitazioni della circolazione e dell’armonioso svolgersi delle attività. Ma la ricetta da che mondo è mondo non è certo la militarizzazione, la repressione, la soppressione dei diritti: basterebbero misure efficienti, piani del traffico preventivati e comunicati, basterebbe investire in formazioni per le forze dell’ordine per promuovere quelle pratiche di concertazione e negoziali che impediscono il degenerare dei conflitti. Ma certo a monte di Monti basterebbe non portare la gente alla disperazione e all’eccesso di rischiare la vita misera che ha su un pilone, su una gru, dentro una miniera. Basterebbe che una stampa, ormai ridotta a ripetitore se non a pupazzo del ventriloquo, assolvesse al compito di informare anche quando diventa contro-informare rispetto alle veline e ai dispacci del governo. Basterebbe buonsenso e ragione per dare spazio alle ragioni di chi legittimamente si batte contro i torti subiti.
Si è sconcertante l’idea di ordine che ha un ministro che traccheggia quando si tratta di subire i tagli alle forze che dovrebbero contrastare la criminalità, che si preoccupa più delle manifestazioni a Roma che del manifestarsi del risveglio malavitoso a Scampia, che evidentemente pensa che le mafie siano un fenomeno estraneo alla crisi, e non una forza funzionale ad essa, che la usa per occupare i gangli ancora vitali di un organismo stremato e indifeso nell’intreccio maligno con un’economia rapace e criminale.
C’è poco di costituzionale e di democratico nell’ordine pubblico che piace al governo. Anche perché c’è da sospettare che gli si addica di più un ordine privato.

Per la prima volta nella storia, la maggioranza della popolazione mondiale vive in città. E grandi quote di questa massa urbanizzata conoscono condizioni d’assoluta povertà. Il concentramento di queste sterminate moltitudini entro spazi sempre più ristretti, ha generalizzato baraccopoli su tutti i continenti, nessuno escluso, dando luogo a quello che è stato definito il “pianeta degli slum”. Lo scrivevo qualche giorno fa, tutte el istituzioni anche quelle più conservatrici o letargiche riconoscono il problema. Secondo un rapporto dell’ONU The Challenge of Slums. Global Report on Human Settlements, attualmente vivrebbero negli slum quasi un miliardo di persone (una ogni sei, se si considera l’intera popolazione mondiale, ovvero un abitante di città su tre) e si ritiene che questo numero possa raddoppiare entro il 2030, così che nello stesso rapporto si parla di una crescente “urbanization of poverty”. Perfino la Banca Mondiale riconosce che “La povertà urbana diventerà il problema principale e politicamente più esplosivo del prossimo secolo”. Secondo, il Programma dell’Onu per gli Insediamenti Urbani, UN-Habitat, le più alte percentuali (sopra il 90%) di abitanti negli slum si trovano in Etiopia, Ciad, Afghanistan e Nepal. “Bombay, con dieci o dodici milioni di occupanti abusivi e abitanti di casamenti, è la capitale globale dello slum, seguita da Città del Messico e Dhaka (tra i nove e i dieci milioni ciascuna), e poi Lagos, Il Cairo, Karachi, Kinshasa-Brazzaville, São Paulo, Shanghai e Delhi (tra i sei e gli otto milioni ciascuna)”.

Forse la Cancellieri è informata che il Pentagono ha rilevato come nella città si giocherà il futuro della tecnica bellica tanto che produce studi seriali nei quali raccomanda agli strateghi militari di incentrare la loro “attenzione sul territorio, sulle baraccopoli stesse”. Perché la globalizzazione ha allargato i confini del Terzo Mondo, ridisegnando anche il tessuto delle metropoli occidentali e la miseria del mondo si staglia fin sul portone della Casa Bianca.
E anche l’Europa ha i suoi slum da Terzo Mondo, soprattutto nelle periferie di città come Lisbona, Atene e Napoli, ma una baraccopoli è ben visibile anche transitando sulla Milano-Brescia e proprio a Milano e anche a Roma nelle molte “aree dismesse” , dopo la cancellazione di realtà produttive e prima della “riqualificazione” in gigantesche speculazioni immobiliari, stanno risorgendo quegli insediamenti di baracche che dopo gli anni ’70 erano stati cancellati.
Tutto concorre a fare della città il teatro simbolico del crescere delle disuguaglianze che sta caratterizzando i fenomeni della globalizzazione: da una parte l’estendersi non più solo ai bordi dei quartieri “organizzati” di baraccopoli e zone marginali sempre più somiglianti a campi di esclusione. Dall’altra il proliferare di gated community, esclusive e inclusive, dotate di servizi propri, superprotette da polizie private, apparati elettronici, insomma “veri e propri insediamenti circondati da muraglie e sistemi di controllo che precludono l’accesso a strade, servizi, parchi, spiagge, risorse, insomma di quel sistema che prelude la privatizzazione della città.

Gli Stati Uniti ma anche molti Stati europei e asiatici si preparano a adottare approcci strategici militari, in previsione del dilagare di tremendi sommovimenti e il divampare di disordini e confitti sociali formidabili, attraverso una tecnica di “controinsurrezione”, che prevede le modalità di una guerra a bassa intensità contro le fasce marginali destinate ad essere fisiologicamente trasgressive delle periferie affamate.
La lotta di classe che muove la ricchezza contro la povertà, prende sempre più le fattezze della guerra guerreggiata. Contro di noi, contro l’umanità e contro la libertà.