Licia Satirico per il Simplicissimus
È proprio un caso di eterogenesi dei fini: uno dei giornalisti più faziosi e aggressivi d’Italia rischia di diventare un martire della libertà d’informazione, vittima di un codice penale datato e di un sistema giudiziario kafkiano. Il prossimo 26 settembre la Cassazione potrebbe rendere definitiva la condanna di Alessandro Sallusti a quattordici mesi di reclusione per diffamazione a mezzo stampa. Il fatto risale al 2007, quando il “soldato Tibia” era direttore del quotidiano Libero: un corsivo firmato da uno pseudonimo, che non facciamo fatica a immaginare oltraggioso, cita un giudice tutelare incapace di fair play. In primo grado la vicenda sfocia in una pena pecuniaria di 5.000 euro. In appello, con anomala severità, la sentenza – pronunciata, a quel che dice Il Giornale, ad insaputa del difensore dell’imputato – si tramuta invece in reclusione senza sospensione condizionale della pena.
L’appello del Giornale contro la “giustizia malata” è stato ripreso, con diverse modulazioni, da paladini probabili e improbabili della libertà di stampa. Marco Travaglio ha difeso a spada tratta proprio il collega che, in un simpatico momento di confronto democratico, aveva pubblicato, sempre sul Giornale, la sua fedina penale. Giovanni Valentini si è lanciato, su Repubblica, in un duro editoriale sul rapporto tra giustizia e informazione, con riferimenti singolari al problema della responsabilità diretta dei magistrati. L’Ordine dei giornalisti ha chiesto l’intervento di Paola Severino, mentre Napolitano, già in allarme, «si riserva di acquisire tutti gli elementi utili di valutazione» (forse in vista della grazia, già concessa tanti anni fa in circostanze analoghe al giornalista Lino Jannuzzi, di simpatie ideologico-editoriali affini a quelle di Sallusti).
Anche il mondo politico è inquieto, specie – ma non solo – nell’ambito di un centrodestra particolarmente sensibile al tema delle patrie galere. Sandro Bondi, Franco Frattini, Roberto Formigoni e pure Alfonso Papa hanno inviato messaggi di solidarietà a Sallusti manifestando pubblico biasimo per la legge liberticida che potrebbe portarlo in carcere. Daniela Santanché twitta, menade impazzita, messaggi bellicosi e sgangherati che ispirano quasi tenerezza.
In tutto questo spicca la nota della Fnsi, che definisce mostruosa la condanna rilevando che «è inaccettabile che un giornalista per fare il suo lavoro e per le sue opinioni rischi la galera. Non è da paese civile. Succede solo in Italia, e questa è una delle ragioni principali per cui siamo così in basso nelle graduatorie mondiali sulla libertà di stampa».
È vero, la condanna è mostruosa e le sue circostanze sono di per sé esecrabili. Tuttavia fa specie che proprio la Fnsi sostenga che una delle ragioni principali per cui l’Italia si trova al sessantunesimo posto, dopo la Guyana e la Bosnia Erzegovina, nella classifica mondiale 2012 di Reporter senza frontiere, sia il rischio per un giornalista di finire in galera a causa delle sue opinioni. Le ragioni per cui persino Ghana, Tanzania e Haiti hanno una stampa più libera della nostra si chiamano conflitto d’interessi e giornalismo contundente con tendenza coprolalica. L’immedesimazione perniciosa tra politica, economia ed editoria ha eroso i margini di autonomia di una stampa che ora riesce a essere filogovernativa persino quando rivendica coscienza critica.
C’è qualcosa di mostruoso nell’insofferenza della nostra classe politica verso una cronaca per lo più “amica” e una satira vista come volgare e sessista, se non insopportabilmente partigiana. I disegni di legge bavaglio, i ventilati provvedimenti anti-blog e persino le censure per le vignette sui ministri sono l’emblema di un Paese dove Libero è solo il titolo, nemmeno ironico, di una testata giornalistica schierata. L’inasprimento del rapporto tra giustizia e informazione risente poi, forse più che mai, di una campagna d’odio portata avanti, proprio grazie a giornalisti come Sallusti, contro la magistratura a delinquere da editori che erano politici che erano imputati: un circolo vizioso che ha avvelenato non solo i rapporti tra poteri dello Stato, ma prima ancora la nostra libertà di opinione e l’esigenza di pluralismo. Troviamo strano che un giornalista possa affrontare il carcere, ma non che scriva obbedendo a un padrone.
Sallusti rischia di espiare la sua pena grazie a norme imposte, con poche modifiche successive, da un codice nato in pieno fascismo. Si sa da più di ottant’anni che il nostro codice penale cela fantasmi imbarazzanti, che ha bisogno di una riforma che elimini una volta per tutte le scorie di responsabilità oggettiva da cui ora il soldato Tibia potrebbe essere travolto. Ma i politici-imprenditori-editori-imputati hanno avuto ben altre priorità legislative una volta giunti in parlamento: si sono occupati dei giudici e non della giustizia, di alcuni processi e non dell’andamento dei processi in Italia, di impunità e non di diritti di libertà (stampa inclusa), con danno incalcolabile alla vita civile del nostro Paese.
Speriamo che con Sallusti auspicabilmente a piede libero inizi anche la campagna di emancipazione del giornalismo italiano dalle proprie malattie genetiche. Quelle vere.
Se avesse fatto il suo lavoro onestamente, senza infangare o esaltare le bugie del capo, tutto questo non sarebbe accaduto. Vedo con piacere che tante voci si sono alzate in difesa di questo “giornalista”…molte meno in difesa di tutti quei magistrati attaccati da chi NON VUOLE la verità sulle stragi…
Sallusti Libero ma in galera!!!
Daccordissimo con te semplicissimus,come dice Cristiano:la verità va dette sempre tutta!e non come x la Diaz,dove la polizia mise quelle bottiglie molotof,cosi x il caso da te enunciato, x il caso Aldo Scardella,lui non si merita tutta questa solidarietà!
Devo correggermi, scusatemi: l’attentato in realtà se lo simulò l’altro bruttimbusto mascellone d’un Bruttopietro. Ma sai che differenza? la livrea di Arcore è tutta uguale! Però mi scuso per questo scambio d’dentità. Cuicuisque suum, anche se Bruttopierto e “Sallutti” sono intercambiabili nella funzione di zerbini sotto le suole del Pifferaio.
Sallusti e il Padrone che gli tiene il collare qualche anno fa simularono un non meglio precisato tentativo di attentato rivelatosi poi una bufala fatta anche male, come quella della cimice trovata nello studio ovale del Reggiguinzaglio di cui sopra. Perché non deve andare in prigione una simile sagoma più vomitevole e ributtante di una piattola? Ma semplicemente perché il soggetto (nel senso etimologico di sotto-oggetto, sottoposto) non è neanche la parodia di un giornalista, con quella faccia da federale fascistissimo che si ritrova. Scrive fesserie dalla mattina alla sera, ogni sua articolessa è piena zeppa di falsità, obbrobbri, errori di grammatica, sintassi, logica, idiozie a go go. Ma chi volete che se lo fili un tipo così? Degno di umana pietà, questo fricchettone che se gli metti una penna tra le mani la afferra con un pugno. Il cui analfabetismo di ritorno è superato soltanto dal suo analfabetismo d’andata. Uno così non ha bisogno di galera, ma di scuola serale.
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Piena solidarietà al direttore Sallusti,
la galera non deve servire per impedire ai magistrati di svolgere il proprio dovere..
Direttore Sallusti nell’articolo dal giornale del 17 settembre da lei diretto avete scritto di un innocente di Nome aldo Scardella ucciso dalla giustizia ..ebbene in questo articolo avete scritto che Scardella è stato incastrato da un passamontagna trovato dalla polizia
nel suo giardino..giustificando e omettendo in sostanza la polizia dal quel gravissimo delitto di Stato..:perchè il passamontagna non è stato trovato come ha scritto il suo giornale nel giardino dello Scardella bensì a due palazzi dal suo ben occultato invece la polizia,non so perchè, in nome dell’ispettore Sergio Suergiu verbalizzò di averlo trovato ben visibile..inoltre la polizia, come del resto la magistratura, i nomi degli autori del delitto per il quale venne accusato Aldo Scardella li sapeva già prima ancora che avvenne l’omicidio..visto e considerato che identificò tutti dei dipendenti del commerciante assassinato tranne quelli che poi in qualche in qualche modo erano collegati alle persone poi in seguito condannate..o quando nascosero due anni dopo il delitto del commerciante e si rifiutarono di trasmettere un rapporto dove venivano indicate le persone condannate poi..si guardi l’ARTICOLO DELL’UNIONE SARDA DEL novembre 2009..e pubblichi di cosa è capace certa polizia..c’è tutto anche nelle interrogazioni dei radicali di questo…la verità deve eseere tutta intera se no,non andiamo da nessuna parte direttore. distinti saluti
Mi associo alla solidarietà per il povero Sallusti: insomma, con tutto il lavoro che ha da fare dovrebbe anche mettersi a leggere gli articoli da pubblicare! Che giustizia…
In ogni caso, mi dispiacerebbe se finisse in galera, anche perché si rischierebbe di leggere che topi e scarafaggi fanno lo sciopero della fame con i detenuti pur di liberarlo…