L’Eurostat  lo certifica facendo giustizia delle chiacchiere governativo-mediatiche : la politica di austerity imposta dai centri finanziari per fini ideologico-politici e dalla Germania per interessi nazionali, è stata un completo e totale fallimento: le misure prese o più spesso imposte per ridurre il rapporto debito – Pil non hanno fatto che aumentarlo e i dati che arrivano a cascata non lasciano scampo ai tortuosi  slalom attorno alla verità: la Grecia è passata dal 136,9%  al 150,3%, l’Irlanda dal  108,5%  al 111,5 %, la Spagna dal 72,9% al 76%, il Portogallo dal dal 112% al 117,5%, mentre quello italiano è arrrivato al 126,1%. L’intera Europa dal primo al secondo trimestre di quest’anno ha visto il suo debito aumentare dall’ 88 per cento del Pil al ‘90 per cento.

Erano dati di cui l’Fmi era probabilmente già a conoscenza, visto che proprio due settimane fa, contraddicendo vent’anni di “consigli” e ricette sballate, ma sempre volte a contrarre welfare e diritti, si è accorto che queste misure non pagano e sono controproducenti. Di più: il fatto che i vari Paesi in crisi abbiano rapporti debito- Pil così diversi, tanto che la Spagna pur essendo in piena tempesta ha numeri che l’Italia non si sogna da trent’anni e certamente simili se non inferiori a quelli della Germania, sta a dimostrare ancora una volta l’artificiosità e la strumentalità della crisi del debito. Il fatto è che economie molto diverse tra loro non sono riuscite a darsi un’unione politica, ma solo un’unione monetaria che in queste condizioni si è rivelata fallimentare, come d’altro canto era stato preconizzato. Non potendo agire sullo strumento monetario che è la rappresentazione sintetica di un’economia, nè d’altro canto potendo mettere in comune perdite e profitti, la crisi del debito esprime a questo punto solo le dinamiche di egoismi nazionali rafforzati e non smussati dalla moneta unica.

Tuttavia una moneta fin troppo debole per i Paesi forti del continente e troppo forte per quelli deboli ha incontrato il favore ideologico di molto “europeismo” fasullo sotto cui si nasconde l’ideologia liberista, soprattutto nella sua versione finanziaria: non potendo agire sulla moneta per dosare il mix di inflazione, competititiva, importazioni ed esportazione, per molti grandi Paesi si è scelta la strada obbligata della precarizzazione, della dissoluzione del welfare, dell’erosione dei diritti e delle tutele come succedaneo della svalutazione, distruggendo così il mercato interno, senza però riuscire a compensare con quello esterno.  Questa “diminuzione della democrazia” è ciò che viene predicato da più di trent’anni dai vari circoli liberisti di cui il nostro premier è stato tra i membri più attivi, e ha individuato nell’euro, nella sua contraddittoria esistenza di moneta senza banca centrale e nella superficialità con cui si è scatenata la corsa all’adesione , lo strumento principe per ottenere questo risultato. Non c’è che dire,  la lotta di classe al contrario ha avuto successo, come del resto il premio nobel Robert Mundell riconosce apertamente: l’euro è economicamente una follia, ma politicamente un toccasana perché espropria gli stati della gestione economica.

Queste cose mi è capitato di dirle molte volte e mi spiace di dover ancora una volta annoiare chi legge, ma visto che ormai ci troviamo di fronte a dati che sono l’espressione certificata di un fallimento globale e visto che persino il fondo monetario non può che arrendersi di fronte alla realtà, mi chiedo come mai tutto il milieu politico e intellettuale continui imperterrito a pensare negli stessi termini di un anno fa, quando Monti appariva il salvatore e nell’ equilibrio incerto sull’orlo del dirupo non si osava mettere in dubbio ciò “che voleva l’Europa” ossia la Bce, la Merkel, i circoli finanziari e quella tetra compagnia di Bruxelles sulla quale non mi voglio esprimere per non correre il rischio di travalicare. Adesso è chiaro che la via intrapresa è sbagliata, che il montismo, con quel un misto di arrendevolezza, ideologismo, astrattezza, non disgiunto dalla consapevolezza dei favori dovuti al sistema politico e ai potentati economici, non ha più alcun senso. Del resto la legge sulla corruzione, quella bavaglio in corso di approvazione, ma anche l’ultima manovra onerosa per i cittadini meno abbienti, con vere e proprie carognate che costringono allo sciopero della fame i malati di sla, ma persino negativa per i conti,  sono lì a narrare l’inadeguatezza ontologica del governo tecnico.

Adesso ufficialmente non si può più far finta che l’agenda Monti sia un toccasana e un’ancora nel tifone, che le sue misure e la sua iniquità siano necessarie: anzi simulare qualcosa che la realtà smentisce, significa di fatto aderire a un progetto politico di “riduzione democratica” da attuare mediante l’impoverimento, come del resto accade in tutta la periferia europea. Per lo meno i dati Eurostat e anche le conclusioni del Fmi spazzano via un po’ del colossale accumulo di ambiguità dietro la quale si erano nascosti in molti: sull’agenda Monti sono segnate solo le pagine della corrività opaca e del declino.