Edmondo_Rossoni_in_Piazza_del_Popolo_a_Roma_annuncia_la_promulgazione_della_Carta_del_LavoroMariaserena Peterlin per il Simplicissimus

Conosco il significato del lavoro da quando ero bambina, quindi da decenni. Sono nata in una casa nel cortile di un mulino di cui mio padre era capo mugnaio, un tecnico con un compito difficile, dirigere uno stabilimento in cui entrava il grano ed uscivano crusca, cruschello e vari tipi di farine; e con la responsabilità di tutto il personale. Adesso è tutto diverso, la farina la importiamo e il grano non si coltiva quasi più. Infatti il pane è di solito cattivo.
Quel tecnico indossava un abito da lavoro, e non il completo in blu con cravatta a pallini, portava il basco in testa e arrivava a casa imbiancato di farina fin nelle ciglia degli occhi; aveva un buon odore di farina, quasi di pane.

Conosco il significato del lavoro perché sotto le mie finestre passavano autisti, facchini, operai, cilindristi, meccanici, falegnami che arrivavano a piedi o in bicicletta e avevano il fagotto del pranzo sotto al braccio. Anche loro si cambiavano d’abito: il mulino infarina e le differenze si devono conquistare, non basta affermarle.
Passava anche il padrone. Entrava in mercedes, ma abitava là anche lui.

Ho visto la fatica di chi si metteva sulle spalle un sacco da un quintale, di chi si asciugava il sudore sotto un berretto fatto col giornale; ho visto gruppi di uomini che si fermavano solo per masticare la ciriola con la mortadella, ho sentito le voci di chi bestemmiava (ma non credo che in cielo ci si aspettasse qualcosa di diverso) e ho visto anche qualcuno portato di corsa in ospedale.

Ho visto scioperi risolti con cinquemila lire aggiunti alla paga di quel giorno; ma ho visto anche i pacchi dei regali di natale del padrone ai bambini, numerosi allora, degli operai.

Un altro mondo.

Però in quegli anni, il lavoro aveva guadagnato rispetto e i lavoratori diritti.

E chi come me ha visto, ascoltato, annusato quel mondo non riesce a capire come oggi si possa definire lavoro sculettare in tv, dare notizie vestiti come i manichini degli abiti firmati per uomo, esibire baldanzose opinioni da una bocca gonfia di lifting che spicca in una faccia incorniciata da una simil parrucca luminosa come una cometa mechata.

No, proprio no.

Per cui quando ho sentito in tv il noto comico Crozza sfottere la Fornero per il suo “choosy” appioppato ai giovani presunti schizzinosi del lavoro sono stata abbastanza d’accordo e la frase “vi potrebbero fare un choosy così “ mi è sembrata proporzionata. Invece quando ho sentito una sfavillante telegiornalista intervistare dei giovani e, citando il comico, affermare “sono sorpresa perché ancora non avete fatto un choosy così” allora mi sono irritata.
Sì perché nonostante la deferenza dovuta a tutte le professioni, non possiamo negare che per fare il choosy a chi accumula privilegi e abbranca potere con qualsiasi mezzo ci vuole coesione tra lavoratori, ci vogliono sacrifici e lotte, ma ci vuole anche una informazione senza bavagli e non a pigione dal potere e ignorante del mondo del lavoro.

E se non chiediamo alla stampa ed ai giornaloni di scendere in piazza al posto dei disoccupati, degli esodati, dei mai occupati, dei cassintegrati e così via, gli chiediamo almeno di rendersi conto che non è vero che qualunque lavoro ti permette di andare avanti e di crescere socialmente o di alzare la voce e la testa.

Infatti, per fare un caso specifico, il precario della scuola ad esempio non può iscriversi a un sindacato (posto che serva a qualcosa): come pagherebbe la sua quota di iscrizione prelevata dalla busta paga di quelli di ruolo?
E  per fare un caso generale occorre dire che il disoccupato, l’esodato, il mai occupato non hanno potere contrattuale: come farebbero infatti a scioperare se sono stati sbattuto fuori dal luogo di lavoro o non ci sono mai entrati?

Considero una fortuna l’aver conosciuto il mondo del lavoro, esserci vissuta in mezzo, averlo visto crescere, averlo visto fischiare i sessantottini, oggi in tutte altre faccende affaccendati e che all’epoca volevano coinvolgere gli operai in una lotta non priva di sfumature elitarie e che erano chiarissime per i lavoratori, ma meno chiare per le muse delle rivoluzioni di papà.

Una vera fortuna; perché sopportare il presente è un gran peso, ma almeno si sa che ce ne potrebbe essere uno molto diverso. Senza tutte queste muse pronte a cantar dei pelidi o candidati di spicco di oggi.