164229_587324394613769_626641201_nAnna Lombroso per il Simplicissimus

Processato nel 1947 per crimini di guerra, Albert Kesselring, comandante in capo delle forze armate di occupazione tedesche in Italia, fu condannato a morte. La condanna fu commutata nel carcere a vita. Ma già nel 1952, in considerazione delle sue “gravissime” condizioni di salute, egli fu messo in libertà. Tornato in patria fu accolto come un eroe e un trionfatore dai circoli neonazisti bavaresi, di cui per altri 8 anni fu attivo sostenitore. Pochi giorni dopo il suo rientro a casa Kesselring ebbe l’oscena sfrontatezza di dichiarare pubblicamente che non aveva proprio nulla da rimproverarsi, ma che – anzi – gli italiani dovevano essergli grati per il suo comportamento durante i 18 mesi di occupazione, tanto che avrebbero fatto bene a erigergli… un monumento.

Gli rispose Calamandrei con la sua “epigrafe” all’ignominia: “Più duro d’ogni macigno, soltanto con la roccia di questo patto giurato fra uomini liberi, che volontari si adunarono per dignità e non per odio, decisi a riscattare la vergogna e il terrore del mondo”.
La cancellazione di quel patto per il riscatto dalla vergogna è una colpa collettiva, ” che pesa come quel “macigno” su di noi, e che insieme alla memoria ha contribuito a coprire con una coltre di nebbia giustizia, stato di diritto e legalità.
È difficile per chi ha militato nella “sinistra” chiamarsi fuori: una colpevole, letargica caduta dei livelli di vigilanza, una stuporosa e stolida acquiescenza alle sospette richieste di pacificazione senza riflessione autocritica hanno schiacciato l’antifascismo nell’angusta e polverosa cassapanca dove sono riposte le attrezzature arcaiche del secolo breve: ideologie, idee, utopie, speranze, soffocate dalle ragnatele confortevoli dell’indifferenza, della dinamica modernità che esonera dalla responsabilità, dal pensiero e dalla giustizia.
Così non è stato difficile persuadere molti che per ragioni pratiche la giustizia non si adatta ai processi di transizione e al cambiamento. È successo alla fine della guerra per la difficoltà di ristabilire lo stato di diritto anche per via giudiziaria quando le vecchie èlite conservavano il potere nel nuovo regime e quando l’apparato statale e istituzionale aveva svolto un ruolo di primo piano nella nell’esercizio del sopruso e della violenza. Succede oggi quando si sono innalzati i livelli di tolleranza dell’illegalità, quando leggi ad personam, “riforme” intese a annullare diritti e sovranità con l’acquiescenza di opposizioni, resesi complici, hanno abbattuto quel caposaldo, ormai diventato figura retorica stantia, della legge uguale per tutti.

C’è stato e c’è un interesse condiviso a promuovere un’amnesia collettiva, magari accompagnata da un’amnistia, come se fosse un’opportunità, anzi un imperativo categorico per garantire un adattamento pacifico e profittevole all’egemonia del mercato, come la modernità esige.
Sono le forme neoliberiste del revisionismo e del negazionismo che preferiscono le falsità e l’amnesia al servizio di identità nazionali indulgenti e immuni da memoria e verità, in modo da renderle più permeabili a culti globali ispirati dall’istinto dei nuovi poteri a omologare tutto e tutti per assoldarci in svariate legioni di innovative servitù.
E sono quelli che vedevano nella Spagna e nella Grecia due realtà esemplari di Paesi nei quali la decisione di non riaprire i loro archivi di violenza, per permettere a un sistema democratico, stabile e sicuro di riaffiorare dalle ceneri dei regimi autoritari, realtà cui ci veniva suggerito di uniformarci, rimozioni cui ancora oggi veniamo persuasi a abbandonarci felicemente, perché in fondo che bisogno c’è di essere antifascisti?

Abbiamo visto e vediamo invece quanto traballante sia l’edificio costruito su quel processa di dismissione artificiale della memoria e della storia, come il tessuto sociale di quei paesi, anche senza ricordare i tentativi chiaramente golpisti alla Tejero, si sia dimostrato vulnerabile alle svolte autoritarie comprese quelle sotto forma di diktat della troika, di proibizione di tenere referendum su temi cruciali, di elezioni svolte sotto la pesantissima pressione di influenze esterne e del ricatto della crisi, insomma sotto la minaccia dei nuovi fascismi.
Per non parlare di noi, invitati a subire, a rifiutare responsabilità, preferendo la delega, a abdicare dalla faticosa partecipazione, a contribuire alla cessione di sovranità e democrazia, persuasi ad accontentarci del meno peggio, degli “apolitici” virtuosi per incompetenza, dei giovani che non hanno avuto il tempo di essere contaminati, dell’abitudine all’autoritarismo di vecchi che non sanno essere autorevoli con l’esempio.

Oggi cade l’anniversario delle Fosse Ardeatine. Facciamone davvero un giorno della memoria: c’è chi dice che l’amnesia, la rimozione aiutano le vittime a non provare di nuovo e di nuovo l’affronto della violenza e il dolore che ne deriva. Non è vero, solo ricordo dell’ingiustizia e della lotta condotta da chi aveva a cuore anche la nostra libertà di oggi, danno quiete alla vittime di ieri e ci esonerano dall’essere vittime oggi.