824052c179784d51bc2b7b85b46ed969-824052c179784d51bc2b7b85b46ed969-0-004Anna Lombroso per il Simplicissimus

Un paese in svendita può produrre varie forme di accattonaggio, istituzionale e non.

Monti andò negli emirati offrendo un contributo a nostre spese per facilitare  i loro investimenti, dei quali non ci è stata fornita la rintracciabilità né i magnifici esiti. Letta vanta i successi del suo piano per il lavoro giovanile sostenuto dalla carità pelosa dell’Europa. Sceicchi e simili  si stanno spartendo una Sardegna mortificata da un inanellarsi di emergenze lavoro.

Non deve sembrare strano, quindi,  che un gruppo di cittadini veneziani abbia rivolto un accorato appello allo stilista Cardin,  perché torni sui suoi passi “riaccendendo” il suo Palais Lumière con il quale pare aspirasse a una qualche immortalità .. magari quella perenne del “brutto” megalomane e sgangherato.  Nella lettera gli viene chiesto di fare “quello che un grande uomo di genio forse non ha mai fatto:  tornare sui suoi passi anche se avrebbe diritto di mandare tutti a quel paese”, di ricambiare “con un gesto, folle, irrazionale e coraggioso l’affetto che la città, quella vera, gli riserva”.

E così si sono tassati per offrire due pre-pagati destinazione Parigi per Orsoni, il sindaco e Zaia, presidente della Regione, perché vadano – forse ginocchioni, da umili postulanti – a implorare il genio di persistere nel suo progetto visionario.

Visionario ma a prezzo scontato: l’unica offerta venuta dallo stilista in vena di mausoleo ammonta a 800 mila euro, per accaparrarsi il sito dove erigere la torre rotante, con i suoi 255 metri d’altezza, la costruzione  più alta e voluminosa di tutta la pianura Padana, visibile fin dalle Dolomiti nelle giornate terse, con  un basamento circolare dove dovevano trovar  posto un centro commerciale, un grande centro congressi, un teatro/auditorium da 7000 posti, 10 cinema, il tutto disposto su tre torri di altezze diverse: la torre A con  un’altezza di 255 metri con un massimo di 66 piani abitabili; la torre B, di 225 metri e 58 piani; la torre C di 209 metri e 54 piani.

Un trappolone nel quale il groviera è rappresentato da una mancetta promessa  – solo promessa –  al Comune, per l’acquisto dell’area e fumose ricadute occupazionali durante l’erezione del rutilante grande “pene” ,  e poi nei  servizi.

Investimenti privati si è detto – ma si sa che le cattedrali nel deserto ancorché personalissime oltre che private, hanno comunque bisogno di infrastrutture  pubbliche, con guadagni altrettanto privati,  tanto che a  Parigi erano già in vendita gli appartamenti e i loft pensati dall’immaginifico.

Personalmente amo i visionari, ma in questo caso mi viene da parafrasare Weber: chi proprio le vuole  è meglio che vada al cinematografo. Perché gli oltraggi e le ferite inferte dal “mamozzone” alla città  sono di carattere paesaggistico e ambientale: l’inusitata altezza della torre, il vulnus visivo operato sulla skyline dei margini lagunari, l’incidenza del complesso sul delicato assetto geomorfologico e idraulico del bacino lagunare.

Ma non basta. A essere offesa è anche la legalità oltre che il buonsenso,  violata in primo luogo dal Presidente della Repubblica, massimo garante della legittimità costituzionale, il quale,  come la stampa locale ha più volte riferito senza essere smentita, sarebbe  intervenuto, per far sì che venissero rimossi i vincoli che impedivano la costruzione della torre nell’area prescelta e che avrebbe perorato la rottura  delle regole che presiedono ai rapporti tra le istituzioni e i loro strumenti di  governo del territorio.

 La fame gioca brutti scherzi e ottenebra il giudizio su qualità e quantità del peloso, caritatevole e incauto elemosiniere, che aveva ricattato enti locali e Stato italiano perché rimuovessero gli “ostacoli” delle burocrazie, leggi, appunto, che regolano la compatibilità ambientale, prevengono la pressione e l’impatto sulle risorse naturali, e che dovrebbero tutelare qualcosa cui mai dovremmo rinunciare: la storia, il paesaggio, la bellezza.

La fame porta anche ad essere creduloni e a illudersi che certe elemosine non impongano l’umiliazione di chi le riceve e l’abdicazione ai diritti. A Venezia si sta conducendo un test osceno sulla possibilità di esercitare oltraggi infiniti e illimitati, mettendo alla prova la resistenza dei cittadini e del territorio.  Con un’ aggravante in questo caso, che lo scempio ha come teatro un posto già ferito, già manomesso, già compromesso, intendendo così che non abbia diritto alla salvezza e che sia legittimo incrementare disagio, bruttezza, sacrificio. Mentre invece dovrebbe essere il luogo dove sperimentare una riutilizzazione  e rigenerazione sostenibile,    da bonificare  e ricostruire (nel rispetto dalle testimonianze del lavoro dell’uomo nella fase più crudele del capitalismo industriale) come localizzazione dei nuovi spazi ed edifici necessari per soddisfare i fabbisogni sociali, spazi e sedi per una produzione diversa, edilizia per la residenza a prezzi controllati, per i servizi pubblici e le altre attività pubbliche e per quelle economiche.

I fan del mausoleo roboscopico se la prendono con il fronte del no a tutti i costi, quello delle anime belle, delle contesse, dei pensatori da salotto, degli esteti da sofà.

Ma per fortuna che ci sono ancora, e combattivi, i fronti del no, no alla Tav, no ai Ponti, no alle maxi navi, no al cemento e alle proposte di legge pensate al suo servizio. No a certe alleanze   opache e trasversali,   quelle del “costruttivismo” , dello sviluppismo, dell’ossessione edificatrice,  che fa leva  sulla valorizzazione mercantile del Paese un remoto domani dell’economia di carta,   dissipando nell’oggi il patrimonio accumulato nei secoli, la nostra ricchezza, il bene comune.  E che a Venezia si materializza  nelle operazioni immobiliari dei Benetton e dei Prada nella città storica, nelle nuove speculazioni al Lido di Venezia, nelle torme di turisti “mordi e fuggi” vomitate  nelle calli e nei campi da Grandi navi sempre più capaci e frequenti, nelle offerte di facili occasioni d’investimento immobiliare nelle new cities sul bordo della Laguna o sulle rive del Brenta.

Per continuare ad essere cittadini alle visioni di certi geni è meglio preferire le visioni di chi sa ancora dire no, perché sono quelle del futuro.