Aveva proprio ragione Alessandro del Lago, quando mise Saviano tra gli eroi di carta. E quando mise in luce la costruzione di un’icona e di un vate grazie al senso di colpa collettivo che spinge a sentirsi partecipi di una battaglia con il minimo sforzo di comprare un libro, magari contemporaneamente appoggiando proprio le modalità sociali, le mentalità, le rese che hanno enfatizzato e reso forte il nemico. E ora l’icona di Gomorra, che ha messo insieme il suo noir con i copia incolla dei giornali locali per i quali ha subito non so quanti processi e condanne per plagio, fatto segno a minacce la cui reale consistenza non è mai stata accertata, è disponibile ad essere usato come buona coscienza del potere. E in particolare come la faccia pulita del renzismo.
Infatti, non appena finita l’era dell’anti berlusconismo, normalizzato il camorrista Cosentino, il cronista promosso ad intellettuale in virtù dei suoi meriti catartici e simbolici, l’uomo della legalità intesa nella sua accezione di destra, come egli stesso ammette, ha trovato aperte le praterie del gruppo De Benedetti, della Rai evasiva e di un’immaginaria “sinistra”per essere icona a tutto campo. Messo al posto di Giorgio Bocca a fare l’antitaliano pur senza averne né la penna, né il passato, né l’intelligenza, si accontenta di fare il soporifero moralista di rincalzo, di saccheggiare statistiche stranote per indigeribili mapazzoni e di essere il capo cane da guardia dello statu quo. Non importa quello che dice, tanto è stato minacciato dalla camorra, ha la scorta che persino qualche suo buon amico, di recente elevato a capo dell’anti corruzione, ritiene più d’immagine che di sostanza e in base a questo è preventivamente assolto da ogni peccato e reso intelligente per definizione.
Così è arrivato a scagliarsi contro la manifestazione anti Bce di Napoli trovando vecchi gli slogan, accusandola di miopia ideologica senza spiegare il perché e di non guardare a ciò che accade in “Spagna, Egitto, Siria, Iran, Russia, Turchia, Usa” ( tra virgolette perché non vorrei essere accusato di vacuità totale), con il solito metodo del ben altro, mai però illustrato e solo citato come esemplare inconsistente paragone. E insomma quello che non gli va è che a manifestare siano i gruppi della sinistra radicale napoletana perché troppo arretrati, fumatori d’oppio, qualche volta teneri con la camorra. E’ una vera ossessione o meglio l’eterno ritorno all’unica cosa per la quale il nostro cronista abbia una qualche legittimità ad essere vate. E una buona via d’uscita per tutto. Ora a dirla tutta quella manifestazione era tutt’altro che radicale, perché ancora una volta evitava il nodo del problema ( vedi qui), ma anche Saviano evita del completamente di entrare nel merito della questione e com’è costume dei conformisti dopo aver citato i comandamenti della democrazia, li ribalta in nome del suo animus fondamentale : “Come scrittore, mi sono formato su molti autori riconosciuti della cultura tradizionale e conservatrice, Ernst Jünger, Ezra Pound, Louis Ferdinand Celine, Carl Schmitt… E non mi sogno di rinnegarlo, anzi. Leggo spesso persino Julius Evola, che mi avrebbe considerato un inferiore”.
A me pare che come scrittore si sia formato sui fogliettoni del Mattino e su Ellery Queen, ma comunque sia da un vate ci si attenderebbe di più che regolare i conti con quell’antipatico antifascismo napoletano che forse avrà molti difetti, ma che chiede cose che non piacciono agli erogatori degli stipendi d’oro dell’Icona mondadoriana e debenedettina. Anche perché le questioni che riguardano l’economia, la Bce, lo scontro in Europa, la cessione di sovranità sono cose che riguardano tutti i cittadini e il futuro del Paese, non possono essere trattate con tanta futilità da strapazzo, nascondendosi dietro fumose e banali temini. Ma dire qualcosa di politico significa quanto meno sputtanarsi, cosa che non conviene a un mito che deve gestire l’educazione del popolo nei modi consueti del notabilato meridionale. Quindi si rifugia nel volgare concetto di modernità e di cambiamento nel senso banale e vuoto che va in voga oggi, così da sacrificare il suo pezzo di carne al renzismo e chiudersi nel silenzio come una sibilla reticente. Ma si sa che i vati smettono di essere uomini.
Pur non ritenendo Giorgio Bocca del tutto antitaliano nel senso più prezzoliniano e flaianiano del concetto, ma sicuramente più vero e molto più pregno di senso civile, capacità di riscontro storico (anche perché vissuto in prima persona) e di tensione morale rispetto a Saviano, ritengo oggidì (mia personalissima opinione del tutto smentibile e contestabile, ci mancherebbe) il vero anti-italiano, -europeo, -occidentale (e tutto l’ambaradan ipocrita che circonda questo concetto) Massimo Fini. Pur non condividendo alcune sue posizioni, l’ho stimato da quando curava, nell’edizione settimanale de ‘Il Borghese’ di qualche anno fa, una rubrica chiamata ‘Il Conformista’, proprio per questo risultando il più anticonformista (ma per davvero) tra i giornalisti e gli intellettuali italiani, i quali quasi pagano a peso d’oro i grafici che, stampando loro il biglietto da visita, fanno aggiungere la dicitura “anticonformista” al loro nominativo, preceduto da una serie di titoli presunti e premi vattelapesca. Nelle pagine culturali dei soliti giornaloni la recensione delle loro fatiche letterarie, curata dai loro compagni di merende, non può non iniziare senza l’immancabile aggettivo – in sede di presentazione/biografia/agiografia – “anticonformista”. Sono tutti anticonformisti, nella maniera più conformistica possibile (mondadorian-debenedettiana).
In quanto a Saviano, il personaggio ha oramai di gran lunga strabordato sulla persona, e, se quando vuoi parlare con qualcuno devi salire su un piedistallo per guardarlo negli occhi, vuol dire che non stai più dialogando con una persona, ma con un monumento, e i monumenti sono fatti di granito.